Inaugurazione: 21 settembre dalle ore 16

Esposizione: 22 settembre – 14 novembre

Avevo riportato uno scritto e lo reputavo calzante. Convinto, me ne ero distaccato, facendo attenzione all’impaginazione preoccupandomi in seguito sul dove diffonderlo e le varie pratiche che rendono abitudinario il campo dell’arte. Non mi ero accorto di aver omesso uno dei temi principe dell’anno in corso: la scomodità. Eh sì che c’è ne sarebbe da trarne un trattato tra impacci sanitari, professionali, sociali, civili. Eppure la creatività, in certi casi, la sperimenta da prima e lo fa nelle diverse inclinazioni che rendono l’artista un picaresco soggetto. Barbara Fragogna per esempio si è trasferita di recente a Padova ed il suo studio (che avevo la fortuna di poter frequentare a pochi passi da casa) era un groviglio amazzonico di colori e di certe opere impilate si immaginava la complessità nel trasporto. Poco prima di partire ci accordammo per riporne una parte in galleria ed io, senza averle mai vedute, me le sono ritrovate. È stato deciso, da una figura sacrale senza dubbio (o dalla saggezza di Barbara?), che le reputassi una scoperta e che fosse giusto renderle pubbliche perché di vita espositiva ne avevano fatta ben poca, se non proprio nessuna. Ed era obiettivamente scandaloso. Dunque tutte nel salone alla mercé delle critiche del pubblico. E nella sala affianco l’opera di Elena. Senza cognome perché quando abbiamo parlato per la prima volta del suo progetto (faceva caldo ed eravamo ignoranti in materia di pandemie) c’era una donna che nell’arco strettissimo di un anno o poco più aveva deciso che andava in vacanza, metteva a posto due cose, si sposava, cambiava appartamenti e studi in un frullio inesausto e faceva un figlio. Un tifone al cui fondo c’era la Tortia, che doveva riprendere a fare l’artista perché semplicemente ne aveva voglia, come natura ordina. Avrebbe fatto un libro “scomodo”, su un soggetto altrettanto scomodo, incastrando le sue giornate fra varie scomodità per realizzare tra galleria e studio un progetto davvero scomodo. Ecco tutto.

Sono due storie che ritenevo giusto mettere in scena. Così è nata questa mostra.


Qualcuno scriverebbe premessa, Miscrivo

Vorrei comporre una lettera sincera, esprimere quello che penso liberamente, ma tanto non sarà mai possibile. Non ci conosciamo abbastanza e non raggiungerete le intime viscere di questo progetto, molti di voi non lo guarderanno.

Dare un altro ritmo al guadare, tutto qua. Aspettare e non capire, non capire che tutti quegli elementi di disturbo mi attraevano così tanto. Il paese dell’abbandono mi stava chiamando. Trovarsi davanti a una lingua, certamente qualcuno mi avrebbe detto essere la mia, che ti sbarra gli occhi e provoca rabbia. Tremenda frustrazione.

Ora vorrei trovare quella sincerità nei concetti che hanno costruito questo progetto.

Incominciamo.

Mi rimbalzano in testa le parole di un incontro “non è che lo debbano capire per forza (gesto che esprime rassegnazione); l’arte era visibile come parte di qualcos’altro, non era solo in sé (smorfia che sei scema). Bisogna agire, non dominare.” CLICK

Due anni di intervallo per mettere tutto a posto. Un anno che mi porto dietro queste manie di ordine. Un cervello incrostato dal comodo arenaggio che mi ero scelta, come in un fortissimo sbang, (ho) trovato quella linea che si mette a posto da sola.

Di cosa sto parlando? Del casino, del caos, qualcuno lo chiamerebbe solo disordine. Di quell’eccesso che nasce da manie, oggetti accumulati che mi turbavano e porgevano la mano urtandomi e lusingandomi. Gli oggetti mi colpivano con forza e provavo un’affascinante rabbia, mi sfogavo ma non serviva.

Il progetto che vedrete non è nulla di più del semplice mettere a posto e registrare consapevolmente il fatto che molte cose non vanno bene, ma rimarranno così e nessuno le cambierà.

Qualcuno la chiamerebbe urgenza. Io non so come chiamarla. Termine roboante. Preferisco guardare.

Aveva un altro titolo, un titolo pettinato fatto apposta per voi, vi avrebbe attratto, qualcuno mi avrebbe detto ma che cazzo scrivi! Sbattere parole con enfasi e togliere quel rispetto nel guardare è lo scopo fondante di questo progetto.

Atto primo: ho eseguito una semplice caricatura di quello che vedevo.

Una caricatura poiché “io non lo avrei fatto così” – ma non dovevo riprodurre, solo registrare con ironia. Potrei usare i termini esagerazione, deformazione, eccesso ma nei 25 disegni ho usato il banale prendere nota. Confermare che non cambierà nulla e facciamoci su un lavoro, artistico come direbbe la maestra.

Con la voglia bohemien che non ha mai contraddistinto il mio lavoro ho preso un cavalletto e ho disegnato dal vero con l’ordine maniacale e minuzioso che, invece, conosco molto bene. Ho preso nota e composto un grande libro.

Secondo atto: un libro, l’oggetto più comune che tutti accumulano, un contenitore di sapere, i tanti archivi di pagine che continuamente noi artisti consultiamo, un libro per mio padre che ne è un collezionista accanito.

Troverete un trattato, il mio trattato sul guardare, prende atto, registra e dai andiamo avanti che va bene così e un foglio! Terzo atto: un grande foglio di carta fatto a mano, per creare un limite, non solo nel materiale ma soprattutto nel pensiero. Infine troverete uno schedario, sull’ordine, sull’impilare e sull’organizzare, nel quale sono state divise tutte le carte trovate e riadattate. Sessanta fogli di cellulosa fatti da me, cavie da laboratorio, che hanno reso possibile lo studio sul colore, materiale, texture, sulla struttura e sulla creazione. Disposte su una mensola come mettereste i vostri libri.

Da dove arrivano?

  • da un’agenda del 1984 e diari scolastici,

  • da foglietti di istruzioni delle sorpresine kinder,

  • da carte da parati ingiallite e carta da pacchi usata,

  • da biglietti del pullman usati in città straniere, lettere e fogli dei servizi in CRI,

  • da fumetti, settimane enigmistiche terminate e carta fotocopiata,

  • da spartiti musicali e cartine,

  • da pagine gialle bianche e tuttocittà,

  • da soldatini e indiani di carta,

  • da appunti su partite di subbuteo, quaderni a righe della terza elementare e carta invecchiata a quadretti,

  • da sacchetti di coriandoli e stelle filanti,

  • da giornali dell’arte, volantini e mappe geografiche,

  • da fogli di registri scolastici e schede compilate di prestiti bibliotecari,

  • da inviti di preview, sussidiari, quaderni scientifici, libri di fisica e quaderni sullo spazio,

  • da protocolli per acquisti di titoli bancari e libretti di istruzioni,

  • da tovagliette e quadernetti per il montaggio dei giochi,

  • bugiardini senza pillole.

Nessuna foto solo parole scritte.

Cosa hanno in comune questi tre atti? (Primo) essere carta. (secondo) essere ricerca. Terzo guardatevi in tasca e contate quanti foglietti inutili avete; anche voi siete degli accumulatori.

Elena Tortia