Il vettore umano

Alessandro Gioiello, Liana Ghukasyan, Barbara Fragogna, Isabel Rodriguez Ramos

Inaugurazione: 9 marzo ore 18.00

Esposizione: 10 marzo – 20 aprile 2024

Dopo aver dedicato la prima parte di stagione alla constatazione d’un informe contemporaneo e presente nelle tecniche e nei materiali odierni, dove la forma è quasi sempre in divenire o foriera di soluzioni, un secondo istante è composto da una coppia d’esposizioni connesse dalla figura dell’essere umano, come fisionomia, aspirazione mistica, immersione nel mondo e contatto con l’altro, cambiamento e mimetizzazione. “Il vettore umano” è una esposizione segnata innanzitutto dalla volontà di una accorta selezione di pezzi, tutti ragionati sulla premessa del corpo dell’uomo e della donna come vettore, termine quest’ultimo riccamente adoperato nei più svariati ambiti del sapere e sempre come trasferimento, cambiamento, essenzialità. Posta una base carnale, evidente all’occhio, la possibilità di sviluppo, ampliamento, distruzione e ricostruzione, non ha solo ramificazione terrene, anzi. Se dalla balcanizzazione d’un corpo si deve procedere, è obbligo, per noi, prendere la consapevolezza nelle opere di Liana Ghukasyan ed il suo progetto “Anush”, storia orripilante d’una soldatessa armena fatta a pezzi, uccisa, deprivata e umiliata da uomini dell’esercito azero. Gli elementi, gli organi, i lacerti di ciò che era un’unità, si accendono in una oscurità invasiva, malefica che è parte degli organi ma soprattutto di quello che è sopraggiunto, rendendo l’essere, la vita una forma di disponibilità all’orrore e al suo annientamento. Forse è anche per questa dispersione, provocata trascendenza che le opere di Isabel Rodriguez Ramos, sono state abbinate al talento dell’artista armena. Non per stile o carname ma per forma divinatoria, spirituale della perdita dell’afflato umano, giungendo ad una sensibilità che ha a che fare con la rappresentazione di se stessi e delle personali aspirazioni e timori. Una forma animistica che appartiene non solo alle più svariate culture del pianeta ma che nell’artista italo-cubana assurge a riscoperta d’una forma di misticismo perlopiù ormai assente nel panorama religioso occidentale, personale certamente ma affratellata da un inconscio misterioso e sovra-culturale, non unico nel corso dell’esposizione.

Nei lavori di Barbara Fragogna infatti, vi è una salvifica leggerezza, una partecipazione al mondo come esclusione d’ogni limitazione o dolore, di accrocchi ossificati e parti appena intuibili d’organi danzanti al passo dell’impossibile Nella selezione di carte che si è operata per l’esposizione, l’attenzione si è concentrata sulla struttura dello scheletro umano, pilastro essenziale dell’umano e inamovibile, rigida consapevolezza. Dunque è inusuale vederselo scomposto, leggero e quasi fogliante, disperso e, nei mucchietti meno estremi, ricordare dei ritrovamenti archeologici, parti di sepolture. Ma è un pensiero tristanzuolo che nella maggior parte delle opere è assente. È lo scheletro nella sua accezione trasognata, irriverente a prendersi l’occhio. Magari anche in menome parti. Ed è dunque naturale, a nostro avviso, accostarlo ai lavori di raffinata esecuzione e pensiero, di Alessandro Gioiello. L’uomo, la donna, i contorni, le forme sono un contenitore ed un attacco al ragionamento. Non solo su chi potrebbero essere, su dove averli veduti, se determinati suggerimenti attestino nella nostra curiosità un approdo ma una possibilità di sviluppo che è la sublimazione dell’informe, della sua immaginifica potenza. Paesaggi e suggerimenti di visione sono perlopiù trattenuti dal corpo, dal volto, da ovali, da suggerimenti d’umano ma senza fornirceli, come se fossero interamente degli orpelli. Così facendo l’essere umano s’accosta all’esterno, al contatto con l’altro, con il vissuto. Ed è questo il limite della mostra e aggancio per la successiva che fornirà un contesto concreto e quanto mai volutamente “impreciso” al vettore appena descritto e genericamente conosciuto da ognuno di noi.